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“Una delle parole che sento più spesso usare in azienda è ‘Problema’: è usata con tale frequenza che ormai abbiamo perso la capacità di capirne il reale significato e di comprenderne le cause.”

 

Si è giunti a un tal punto di rigetto del termine problema che la letteratura manageriale di oltre oceano suggerisce ai bravi Manager di sostituire questa parola con “opportunità” per tentare di dare una visione positiva a un fenomeno che aumenta quotidianamente il livello dello stress in azienda.

Ma che effetto otteniamo?

L’effetto positivo che possiamo avere adottando questo suggerimento, sempre che se ne ottenga qualcuno, è purtroppo di breve durata: i collaboratori imparano subito a collegare i due termini e iniziano a mettersi sulla difensiva se sentono pronunciare dal capo indifferentemente l’uno o l’altro.

Chi vive in un ambito aziendale è abituato a sentire come un mantra ininterrotto frasi del tipo: “Abbiamo un problema di vendite nella zona 4”, “Si è verificato un problema su un impianto”, “Il prodotto XYZ ha avuto un problema di affidabilità”.

Viviamo in una società piena di problemi

La triste constatazione che possiamo fare è che lavoriamo in contesti problematici e anche chi non è all’interno di aziende complesse conosce benissimo il fenomeno, questo è certo.

Ma siamo certi di volerci limitare ad attribuire tutte le colpe all’esterno?

Ci avevate mai pensato?

Io sì, e credo che noi stessi e il nostro atteggiamento quotidiano siano tra le cause.

Forse vale la pena di fare alcune riflessioni sul tema per cercare di capire qualcosa di più.

Spesso, più come sfogo che altro, dichiariamo che vorremmo una vita senza problemi, più leggera e rilassante e proviamo una certa invidia per quei popoli o per quelle rare persone del nostro contesto che sembrano affrontare il proprio quotidiano con un atteggiamento rilassato e calmo…

Diciamo “No problem…”

Ma come fanno?

Mi è sempre sembrato riduttivo e frustrante rispondere con un semplice “È questione di carattere”.

Questo perché chi non ha un carattere “No problem” (o menefreghista – termine negativo spesso utilizzato da ansiosi invidiosi) sembrerebbe tagliato irrimediabilmente fuori da una qualsiasi soluzione!

Qualche anno fa un corso mi ha aiutato a fare qualche passo avanti.

Preparando il materiale per un intervento formativo di “Problem solving” mi sono trovato ad approfondire la definizione di problema.

Cos’è un problema?

La definizione che esce quando in aula pongo questa domanda è generalmente molto approssimativa, quelle più gettonate sono:

Qualcosa da risolvere” – Talvolta è vero ma non ci aiuta a capire, a definire il fenomeno.

Qualcosa che dà fastidio, ansia” – Verissimo ma questo è uno degli effetti.

Qualcosa che non funziona” – Già più vicini ma non sufficiente.

La definizione più corretta è “Una situazione che si discosta da quanto avevamo programmato, definito, da quanto ci aspettavamo”.

Quindi la verità è che abbiamo un problema solo se prima abbiamo posto un parametro di riferimento – un obiettivo, un budget, un programma, un’aspettativa – con cui confrontare la realtà.

Un problema è un Delta, uno scostamento tra  atteso e realtà

La logica ma banale considerazione a tutto ciò è che se manca il riferimento manca il problema!

Per capire meglio: se un venditore ha un obiettivo di vendere 100 in un anno e vende 80 ha un problema, ma se lo stesso venditore ha l’obiettivo generico di vendere e vende 80 non ha alcun problema!

Se ci aspettiamo di prendere un treno alle 19 e il treno ha un’ora di ritardo abbiamo un problema.

Se invece andiamo alla stazione per prendere un treno che ci porti in un posto e il treno ha un’ora di ritardo il problema non esiste: non avevamo un’aspettativa rispetto alla quale confrontare la realtà.

Questa banale considerazione mi ha permesso di fare una considerazione molto interessante.

Gli avvenimenti, le vacanze, le feste molto attese e sulle quali abbiamo creato molte aspettative spesso sono insoddisfacenti e piene di problemi.

Al contrario, le feste a sorpresa o le vacanze last minute sono bellissime: non abbiamo creato riferimenti, non abbiamo generato il terreno che permette lo sviluppo dei problemi e delle delusioni.

Perché in azienda i problemi sono inevitabili

Ma d’altronde il mondo aziendale è un contesto fondato su obiettivibudgetspecifiche di prodottistandard di qualitàprocedure e quindi è immediato comprendere perché sia un mondo pieno di problemi: ogni deviazione rispetto a quanto previsto è un problema che deve essere affrontato e risolto… possiamo farci poco è la natura stessa di quel mondo.

Ma nella nostra vita privata il margine di manovra è più ampio.

Come gestire i problemi nella vita privata

Il nostro modello di vita attuale ci spinge a definire obiettivi, orari precisi, aspettative sempre più elevate ma più ci adattiamo a questo modello più siamo condannati ad affrontare problemi.

Forse vale la pena imparare da altre culture e modelli culturali abbassando l’asticella delle nostre aspettative.

Un esempio illuminante è la salute: il nostro modello di vita ci impone di essere sempre in forma, sempre in perfetta salute e sempre produttivi.

Dato questo riferimento è ovvio che l’influenza è un problema da eliminare e risolvere rapidamente comprando ed utilizzando un qualche farmaco a rapida efficacia, la televisione ci passa insistentemente questo messaggio, giusto?

Se il riferimento non fosse questo l’influenza sarebbe meno problematica e accettata per quello che è: una temporanea alterazione da curare con riposo, buone letture e qualche tisana.

Io sto maturando la convinzione che valga la pena di analizzare i nostri riferimenti, abbassare le nostre aspettative, relativizzare i nostri obiettivi.

E può essere che così vedremo ridursi, come per magia, i nostri problemi.

Ma forse sono solo un idealista stressato in cerca di una strada da seguire…

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Leonardo Paoletti

Fiorentino, con dieci anni di azienda alle spalle in area HR, ha deciso di cambiare vita al cambio del millennio e seguire la propria passione di ‘insegnare’. Con Claudio Vernata ha fondato AdActa Consulting, una entusiasmante nuova avventura, nella quale valorizzare l’esperienza di quindici anni di aula e, al tempo stesso, confrontarsi con nuove idee, metodi e persone. Anni di progettazione e gestione di percorsi di formazione e sviluppo per numerose aziende lo hanno convinto che per fare questo mestiere ci vuole passione e impegno ma soprattutto bisogna… divertirsi.

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